Una nuova scoperta sul melanoma, ottenuta dal Prof. Santoro dell’università di Padova, sconvolge quello che sapevamo sul ruolo del Coenzima Q10 al punto da essere soprannominata “il paradosso del Coenzima Q10”. Ma cosa hanno scoperto gli scienziati di così paradossale?
Partiamo dall’introdurre brevemente alcuni concetti, il melanoma della cute è un terribile tumore della pelle, maligno, che vanta il triste primato di essere tra i tumori più diffusi tra i giovani e di continuare a mietere vittime se non viene preso in tempo.
Il Coenzima Q10 invece è un antiossidante che, fino ad ora, era associato a un effetto protettivo contro l’invecchiamento cellulare. E dunque ci si sarebbe aspettati che questo antiossidante giocasse un ruolo di protezione, invece gli scienziati hanno scoperto che proprio le capacità antiossidanti del Coenzima Q10 vengono sfruttate dalle cellule tumorali di melanoma per sopravvivere. Per capire bene cosa accade dobbiamo fare un piccolo passo indietro: normalmente le cellule tumorali producono ROS, molecole reattive all’ossigeno, il risultato è che viene prodotto uno stress ossidativo che a lungo andare porta alla morte delle cellule stesse. È quindi indispensabile per queste cellule tumorali, se vogliono sopravvivere, abbassare i livelli di stress ossidativo.
La scoperta del Team del Prof. Santoro è che le cellule di melanoma sfruttano proprio il Coenzima Q10 per ridurre questo stress ossidativo e per vivere più a lungo, ovviamente a discapito del paziente, infatti si è visto che un’elevata espressione di UBIAD1, l’enzima che sintetizza questo Coenzima Q10, è associata a una più scarsa sopravvivenza dei pazienti con melanoma.
L’importanza di questo studio, oltre che per la comprensione dei meccanismi metabolici delle cellule tumorali di melanoma, consiste nel fatto che getta le basi per valutare nuove possibili strategie terapeutiche. Gli autori dello studio spiegano che sarebbe interessante provare ad utilizzare degli inibitori dell’enzima UBIAD1 per vedere la risposta dei pazienti con melanoma, in particolare quelli resistenti a terapie di inibizione di BRAF e MEK.
di Gianluca Pistore